mercoledì 20 agosto 2014

La regina dei castelli di carta (Larsson): Salander e il "teorema" di Fermat

Ho appena finito di scrivere qualcosa su “La ragazza che giocava con il fuoco”; vado a posare il libro sulla mensola da cui l'avevo preso e mi accorgo che accanto c'è anche il seguito: “La regina dei castelli di carta”. Ottocentocinquantasette pagine. Con rispetto, non ho intenzione di leggerlo; non ora, almeno; quando e se lo farò, sarò particolarmente attento ai passaggi tecnologici, così da poter fare un altro post…

Intanto… (Spoiler alert! NON leggete se non volete che vi rovini la lettura del secondo libro!)

La ragazza che giocava con il fuoco (libro di Larsson)

Ho cominciato a leggere “La ragazza che giocava con il fuoco” di Stieg Larsson il 16 (agosto) a sera; il 18 a sera l'ho finito. Naturalmente, non ho speso tutto il 17 e tutto il 18 a leggere. Quindi, in definitiva, ho consumato molto in fretta il libro (754 pagine, corpo 12, credo, edizione Marsilio).

Niente di stupefacente: è letteratura fatta per essere divorata. Non ci sono periodi complessi, incidentali arzigogolate, raffinatezze letterarie: la prosa è asciutta, essenziale (adattissima ad una trasposizione cinematografica). Il genere letterario lo permette e di sicuro lo scopo non è quello di catturare il lettore con l'estetica delle parole (lette comunque tradotte) e di indurlo ad assaporarle lentamente.

È quel tipo di letteratura di consumo gradevole ma che non lascia niente: non è un libro che scatena la bramosia di possederne una copia sempre a portata di mano in libreria, magari per rileggere un paio di passi particolarmente incantevoli. Si legge e poi… basta.

Ciò detto, mi è piaciuto? Avvince e si fa leggere con facilità (non è una lettura impegnativa) e questa è, probabilmente, la chiave del successo per libri simili; sotto questa luce va giudicato un buon libro, che apprezzerà molto chi ama il genere.

Qualche critica al margine però la devo fare. (Spoiler alert!)

venerdì 15 agosto 2014

Ricardo (Richard) Ramirez: due esempi di ibristofilia

Ricardo Ramírez era un “pazzo”, assassino e stupratore, condannato per 13 omicidi, 5 tentativi di omicidio, 11 aggressioni sessuali e 14 furti con scasso. Un bravo ragazzo, insomma.
A leggere la storia della sua infanzia e adolescenza si può anche provare compassione e pensare che, in fondo, non è colpa sua se è diventato quel che è diventato. Ma resta comunque un “pazzo” che uccise 13 persone, provò a farne fuori altre 5, stuprò e sodomizzò… e rubò (ma questo è il minimo, naturalmente).

Nonostante ciò, a quanto dice la Wikipedia inglese,
aveva fan che gli scrivevano lettere e lo andavano a visitare. A partire dal 1985 […] Doreen Lioy gli scrisse circa 75 lettere […] Nel 1988, lui le propose di sposarlo, e il 3 ottobre del 1996 si sposarono […] Lioy affermava che si sarebbe suicidata quando Ramirez fosse stato giustiziato. Comunque, Lioy e Ramirez si separarono e al tempo della morte di Ramirez, questo era impegnato con una scrittrice ventitreenne […]
Queste due donne sono altrettanti esempi di ibristofilia (cfr. anche il termine su wikipedia in inglese, dove si fa proprio l'esempio di Ramirez). L'assassino è un assassino e avrà la sua storia. Queste donne, e soprattutto le persone che eventualmente le conoscono (amici, parenti…), sono attanti di storie che non vengono mai veramente raccontate.


mercoledì 13 agosto 2014

Di chi è l'Afghanistan?

Prendete una cartina muta. C'è sempre più di un modo di farla parlare. Per esempio, prendiamo questa cartina dell'“Afghanistan dell'ISAF”.
Chissà chi erano quelle donne che 12 anni fa (o giù di lì) alcuni media fecero vedere mentre si liberavano del burka, simbolo dell'oppressione dei talebani (che, secondo la retorica della propaganda bellica, erano stati “già” sconfitti). Chissà chi furono i guru dell'informazione che montarono la “notizia”.

Intanto ci sono anche l'Iraq, la Siria, l'Iran, la Striscia di Gaza, l'ebola, l'Ucraina, e via dicendo. E chissà quante bugie ci vengono propinate per suggerire interpretazioni da filmetto manicheo di questo Mondo in continua “evoluzione” ma che, specie grazie al genere umano, non perde il vizio di essere un posto tuttosommato crudele o pieno di ciniche illusioni.

venerdì 1 agosto 2014

Ornitoteca/ Almeno una falla

La saggezza non è acqua e per questo leggiamo perle come questa:

C'è sempre una falla nel sistema, quindi pensa te quanti buchi ci sono nell'anti-sistema

D'effetto, ma qual è il significato e qual è la logica? Invero la logica formale non ci aiuta in casi come questi: l'errore è da cercarsi nel contenuto — come è del resto per molte fallacie che ho tentato maldestramente di illustrare in condizioni non artificiali, cioè non in vitro.

Se possiamo “invertire” la perla, usando la stessa forma e sfruttando delle “simmetrie” per ottenere una frase che suoni ugualmente sensata (o ugualmente insensata), mostriamo che, evitate le suadenze delle frasi brevi che sembrano contenere chiavi interpretative tanto potenti quanto corroboranti per le nostre narrazioni e visioni del mondo,in realtà essa (al dritto e al rovescio) non dice nulla.

L'inversione ci porta a qualcosa di questo tipo:

C'è sempre un buco nell'anti-sistema, quindi pensa te quante falle nel sistema

Un'altra perla, che non ha meno da offrirci della prima. A parte l'ovvia ricerca sull'ingiustificato quindi, le domande per la notte sono queste: qual è il dritto e qual è il rovescio? Sono realmente distinguibili? Se vi sembra che lo siano e la vostra spiegazione è che una falla non è un buco e l'anti-sistema non è il sistema, potete anche andare a leggere un altro blog.

Nota: naturalmente il «te» come soggetto è nell'originale e ripreso poi nella “riflessione”.

domenica 20 luglio 2014

Un politico, un dottore, un matematico…

Dalle prime pagine di A gentle guide to Constraint Logic Programming via ECLiPSe di Antoni Niederliński (il testo è riportato in inglese; la traduzione in italiano è mia):

Tre amici, un politico, un dottore e un matematico, stavano facendo una passeggiata estiva tra le incantevoli montagne dei Beschidi Slesiani quando il politico notò una sola pecora nera proprio al centro di una radura erbosa.  
«Tutte le pecore slesiane sono nere» egli osservò. 
«No, amico mio» replicò il dottore. «Alcune pecore slesiane sono nere.» 
A questo punto il matematico, dopo pochi secondi di riflessione, disse blandamente: «Tra le montagne dei Beschidi Slesiani esiste almeno una radura erbosa, sulla quale esiste almeno una pecora, e questa pecora ha almeno un fianco di colore nero.»

giovedì 17 luglio 2014

Ornitoteca/ I difensori della lingua

Breve ornito-dialogo, costoletta di un altro filo che sarà oggetto di un futuro post. Per evidenziare il carattere sentenzioso e l'arbitrarietà di certe affermazioni, uso una tecnica a me cara: quella del calco con sostituzione di alcuni termini. Così si evidenzia il fatto che l'affermazione è “applicata” a qualcosa di specifico solo per via di preconcetti, pregiudizi, luoghi comuni e significati speciali attribuiti a certi elementi o espressioni — siamo cioè nel regno del del “linguaggio inferenziale di alto livello” (loaded language) — ma in realtà si può riapplicare senza troppa immaginazione ad altro.

Il punto vero di questo post è però la tattica della difesa della lingua.

lunedì 14 luglio 2014

Il senso delle proporzioni

Ho visto un uomo che soffriva.

Soffriva per amore? Macché. Ci ho messo un po' a capirlo, mentre l'osservavo un po' spazientito, in attesa che si togliesse dalla strada e mi facesse passare: per contemplare la fonte del suo dolore e macerarsi nella sua disperazione, l'uomo non si era accorto di essersi sporto verso il centro strada tanto da rendere imprudente il passaggio delle auto.

Osservo un po' i suoi movimenti, anche perché non posso far altro. Poi capisco l'enorme dramma di questo essere vivente: qualche circostanza di cui non sono stato testimone aveva fatto sì che lo sportello della sua auto — una Opel (non so che modello) tirata a lucido — esibisse un indesiderato graffio, non più lungo di mezzo avambraccio.

Comprendo che simili drammi possano portare alla follia; alcuni diventano a rischio di suicidio. Per questo una faccia mesta e qualche impropero sono, in fondo, insignificanti manifestazioni di dolore. Giustificati, tra l'altro: una vernice indebitamente e poco artisticamente rimossa dalla sua naturale ubicazione merita tutta la costernazione di questo mondo.

Non so immaginare quali terribili pene possa soffrire un uomo tanto sensibile qualora fosse reso consapevole dei tanti “graffi” che ogni giorno fin troppe persone (non oggetti, ma persone) si ritrovano sulla pelle priva di cromatura.