domenica 21 ottobre 2018

A che punto è la notte? (Sommella, 16/3/2018, trascrizione e altro)

Sunset 2007-1.jpg
By Alvesgaspar - Own work, CC BY-SA 3.0, Link

Trascrizione dell'audio della puntata del 16 marzo 2018 della trasmissione A che punto è la notte? di Roberto Sommella. Enfasi, link e note aggiunti da me, così come errori di battitura o in generale imprecisioni nella trascrizione.

Puntata del 16 marzo 2018

Il famoso 3%1, il simulacro dei conti pubblici europei, siamo sicuri che sia servito davvero a qualcosa? A contenere la spesa? A ridurre il debito pubblico in Europa? A far sì che le finanze di tutti gli stati funzionassero in modo armonico e fossero anche partecipi alla crescita?

Sinceramente io non credo. E credo che un certo modo di interpretare il deficit2 sia morto con il 3% e che anche Maastricht di questi tempi non si senta tanto bene, volendo citare i classici.

A 61 anni dal trattato di Roma, infatti, la maggioranza degli europei non è più così europeista come un tempo, ad essere ottimisti, e tutto ciò che è derivato da quella storica firma sa di vecchio, superato, se non pericoloso. Lo hanno dimostrato quasi tutti i risultati elettorali nei paesi dell'unione, ma più di tutto lo si evince dal clima che si respira in quel che resta dei partiti, dei corpi intermedi della società e sul web dove si arriva al delirio di augurarsi fucilazioni, non certo di massa vista la scarsa popolarità dei pochi spinelliani rimasti.

L'Europa e il suo progetto stanno fallendo, almeno come lo conosciamo noi oggi e come spesso l'abbiamo criticato ma supportando l'idea originaria? L'Unione sembra un Titanic alla deriva in cerca di un iceberg su cui schiantarsi per forza3.

Ma gli euroburocrati di Bruxelles pensano a mandare ancora letterine sui conti pubblici, appunto, garantire semmai4 un po' di flessibilità ai futuri inquilini di Palazzo Chigi5 suonando sempre questa marcetta del deficit/PIL che non incanta più nessuno, anzi diventa un drappo rosso per chi vuole infilzare davanti alle urne quanto è stato costruito dal 1957 ad oggi.

Persino una persona autorevole quale Mario Draghi, cui si deve la forza dell'euro, la sopravvivenza della moneta unica nel consesso mondiale e la sopravvivenza stessa dei paesi ad alto debito, parla di occupazione tornata ai livelli precrisi, ammettendo lui stesso che un posto di lavoro nel 2008 era a tempo indeterminato nella maggioranza delle assunzioni ed ora non è più così. E serve a poco anche la mano tesa a chi sbaglia, del commissario degli affari monetari Pierre Moscovici6, o il maggior tempo concesso alla stesura del DEF a Roma, del governo che verrà, documento che di definitivo ha ormai solo l'acronimo.

Il problema è politico e come al solito lo si affronta ancora con le lenti ragionieristiche. Oggi tutti individuano, a torto o ragione, nella precarietà delle condizioni salariali il male oscuro della società europea. Addebitano proprio all'Europa questa patologia, anche se evidentemente c'entra tantissimo l'avvento della digitalizzazione in molti settori industriali7 e una scarsa competitività soprattutto nell'eurozona8.

Si risponde a queste istanze agitando numeri e statistiche che dimostrano che si è usciti dalla crisi. Forse è vero dal punto di vista strettamente statistico, ma se ne è usciti profondamente cambiati, consapevoli che non sarà la partecipazione all'Ue a migliorare le proprie condizioni di vita e che i propri governi nazionali poco possono fare se non erigere barriere e dazi come risposta alla globalizzazione. Per questo dilaga il neonazionalismo, anche nelle scuole, nei dibattiti sui media, sulle pagine dei social9, mentre nei palazzi comunitari si litiga soprattutto sulle poltrone di segretario generale della commissione, si nega, con un voto del parlamento di Strasburgo, la possibilità di creare delle liste transnazionali utilizzando i posti lasciati liberi dagli inglesi, ci si spartiscono le caselle dei prossimi commissari destinando il grosso, come al solito, a Francia e Germania10, per altro gli unici paesi ad avere ancora esecutivi euroconvinti (e dunque teniamoceli ben stretti)11.

Ci si comporta insomma come se tutto potesse andare avanti all'infinito. Come se il discorso alla Sorbona di Macron non fosse solo un discorso, e bastasse e valesse quanto l'enciclopedia di Diderot per tenere lontano il momento della rottura finale. Non c'è nessun nuovo Illuminismo alle porte. Questo straordinario spot antieuropeista, condotto proprio da chi dovrebbe dare un senso a quello che fa, produrrà invece una slavina senza precedenti alle prossime elezioni comunitarie del 2019, a meno che non ci siano correttivi in corsa. A questo punto elezioni decisive e per certi versi forse anche le ultime di un certo senso12. Il quadro è disarmante, vacilla anche il più inguaribile degli ottimisti come chi vi parla.

Ad est, al comunismo di una volta si è sostituito un sovranismo deciso, fatto di patria, fondi comunitari e fili spinati con il sostegno dei governi. A ovest, in molti paesi fondatori, sconfitti gli esecutivi di centrosinistra euro-ortodossi, mietono consensi da tempo i partiti di destra e le nuove formazioni identitarie che hanno intercettato quel bisogno di sicurezza e di riduzione delle disuguaglianze che nessuno a palazzo Berlaymont si è mai curato i prendere seriamente in qualche considerazione.

L'Italia a questo punto è solo l'ultima stazione di un treno che conduce al fallimento dell'Ue, la spina che può essere tolta a un'Europa in coma o la scossa del defibrillatore che la rianima. Dipende da noi, in fondo dipende da noi. In Francia la mossa del Front National, divenuto Rassemblement con lo stesso processo di ripulitura delle origini che ha condotto la Lega ad abbandonare il brand nord e la secessione, suggerirà probabilmente analoghe scelte ad Alternative für Deutschland e magari al partito neonazista NPD.

Anche l'uscita dell'Inghilterra dimostra in fondo che la Brexit non è poi così folle, né un progetto destinato a morire insieme allo UKIP che lo ha promosso. In un modo o in un altro, insomma, nel nucleo storico dell'euro e dei suoi partner l'allergia al righello di Bruxelles si è fatta sistema, si è istituzionalizzata senza dover aspettare la visita pastorale dell'ideologo ripudiato di Donald Trump, Steve Bannon. Nell'ex blocco sovietico che subisce il rinnovato fascino della Russia, il fenomeno è diverso ma allo stesso modo disgregante. L'accostamento della xenofobia e del pregiudizi razziali influenzano sia la formazione del pensiero giovanile che i governanti, in alcuni casi intenti a riscrivere la storia o rimuovere gli antichi traumi del collaborazionismo con in nazisti. Accade un po' ovunque: in Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Ucraina, Lituania, Croazia. Tornano i vecchi vessilli e la bandiera azzurra stellata dell'Europa finirà per essere odiata come quella americana nel mondo durante la guerra del Vietnam. E il dramma è che non c'è motivo né invasione a giustificarlo.13

I pezzi del puzzle sono quindi tutti sul tavolo e compongono una vecchia cartina geografica, quella dei primi del Novecento. Ne può scaturire quello che si paventa da tempo in noiosi e deserti convegni sull'Europa: l'implosione dell'Ue e la sopravvivenza dell'euro14. Il fatto che le istituzioni comunitarie siano intente ancora a promuovere inutili seminari sui pur importanti progetti di integrazione invece di darsi una mossa e dare una risposta concreta a questo sovranismo dilagante15, come se la realtà fosse davvero quella dei manifesti con facce sorridenti e gente di tutti i colori16, aggrava la situazione e lo scollamento tra burocrazia e paese reale.

Tutto questo più che un freno sta diventando uno straordinario acceleratore del processo di disintegrazione; servirebbe invece, lo abbiamo detto tante volte anche a questa radio, rilanciare un concetto di mercato unico vicino alle persone, di condivisione dei problemi e degli oneri dell'integrazione, occorerebbe una nuova politica migratoria, l'abolizione della regola che impedisce lo scomputo dal deficit delle spese per opere infrastratturali, la condivisione del debito con un tesoro unico invece di un tetto sul possesso dei titoli di stato, una vera Maastricht dei popoli che cancelli quella che finora ha tenuto in piedi solo le architetture finaziarie grazie al braccio armato del Fiscal Compact che in teoria dovrebbe essere rispettato. Invece a Bruxelles ci si occupa ancora degli sforamenti dei vari sistemi economici che più diversi non potrebbero essere17.

L'Ue oggi è a più velocità, divisa tra chi ha l'euro e chi no, chi utilizza il dumping fiscale per attrarre all'estero nuovi investimenti e chi nuovi investimenti non li vede perché ha una tassazione al 50% e rispetta la virgola, la più strampalata direttiva europea, chi ha utilizzato i fondi europei per crescere e uscire dall'immobilismo del socialismo reale18 e chi, soprattutto in Italia, i fondi non è nemmeno riuscito a spenderli. È divisa tra chi ha salvato le sue banche come voleva con i soldi pubblici, proteggendo anche i risparmiatori e le casse di risparmio, e chi ha dovuto di fatto chiudere una decina di istituti di credito avviando complesse procedure di indennizzo.

Nessuna traccia in questa Europa dell'unione fiscale, della terza gamba dell'unione bancaria con la garanzia comune dei depositi, di qualsiasi piano d'azione contro la disoccupazione giovanile. Questi richiami erano tutti attuali già 4 anni fa, quando i sondaggi d'opinione indicavano ancora il bello sull'eurobarometro di cinquecento milioni di persone. Adesso probabilmente sono diventate ricette che resteranno solo nel libro dei sogni o forse in qualche volume polveroso di storia. Non si è stati capaci di raccontare il più lungo periodo di pace vissuto del vecchio continente19 perché in molti a Bruxelles, a Strasburgo, in Italia, a Roma, forse anche chi vi parla, ha dato per scontato che amare una patria comune che non è mai nata fosse davvero facile e che farsi governare da chi non è stato eletto fosse anche questa una conseguenza ineluttabile20. Purtroppo non è così21, dobbiamo prendere coscienza e cercare di continuare un cammino che è diventato oggi sempre più complicato verso l'Europa unita.


  1. Nel 2012 è stato introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione, per gentile richiesta dell'Ue. Nel Fiscal Compact, ovvero nel Patto di bilancio europeo, viene imposto un limite al deficit pubblico: il rapporto deficit/PIL deve rimanere sotto il 3%, cosa comunque già prevista nel Patto di stabilità e crescita. Questo 3% è un numero arbitrario: perché 3% e non, per esempio, 2%, oppure 2.5%, oppure 4%, oppure 3.5%?

  2. Qual è questo «certo modo di interpretare il deficit»?

  3. Possibilmente dando la colpa a chi addita il marciume e non a chi l'ha creato. Se le cose dovessero naufragare, gli elettori “ueisti”, già addestrati opportunamente a non capirci un tubo, sarebbero prontissimi ad additare i Cattivi, gli eurosfascisti, gli euroscettici, gli amici di Putin e via dicendo.

  4. Ho riascoltato più volte e credo che la trascrizione sia corretta. Aggiungendo un “a” diventerebbe: «gli euroburocrati di Bruxelles pensano […] [a] garantire semmai un po' di flessibilità […] suonando sempre questa marcetta del deficit/PIL che non incanta più nessuno». In questo modo mi sembra che ci sia qualcosa che non va nel senso (la «marcetta» non garantisce flessibilità: è proprio l'opposto), per cui non penso che l'aggiunta di “a” sia la correzione giusta. Io la riscriverei nel modo seguente, ma ovviamente non è detto che sia l'interpretazione giusta di quello che voleva dire Sommella: «Ma gli euroburocrati di Bruxelles pensano a mandare ancora letterine sui conti pubblici, invece di garantire un po' di flessibilità ai futuri inquilini di Palazzo Chigi, suonano sempre questa marcetta del deficit/PIL che non incanta più nessuno, anzi diventa un drappo rosso […]».

  5. Il 4 marzo ci sono state le elezioni politiche, ma al 16 marzo ancora non si sapeva chi sarebbe stato al Governo (il Governo Conte presta giuramento il primo giugno).

  6. Notate il tono paternalistico con uno spunto messianico: «la mano tesa a chi sbaglia». Tanto umani da arrivare persino a tendere la mano a chi, secondo loro, sbaglia!

  7. La digitalizzazione dei settori industriali ha reso precarie le «condizioni salariali»? Immagino che sia un modo per parlare della disoccupazione e dell'occupazione saltuaria come effetti dell'automatizzazione. Però a me questa sembra una considerazione ragionieristica e che anche in questo caso il problema sia essenzialmente politico, nel senso che si può risolvere politicamente.

  8. Il mito della «competitività» può tradursi nella pratica di abbassare i prezzi: vendi a meno del tuo concorrente, fornendo un prodotto o un servizio comunque appetibile. Qual è il modo più facile per farlo (senza intaccare la quantità prodotta, che deve essere comunque in grado di coprire la domanda)? Sfruttamento del lavoro: lunghi orari, anche se ufficialmente restano 8 — o quel che saranno — ore lavorative, bassi salari, poche pretese del lavoratore, facilità nel sostituirlo con qualcuno di più competitivo o licenziarlo per adattarsi a un calo della domanda o al miglioramento dell'efficacia di un processo produttivo… In una fase diversa della competizione può voler dire anche abbassare la qualità. Cose di questo tipo. Questo meccanismo facilita inoltre la creazione di un'offerta di beni e servizi di serie B (di massa) e una di beni e servizi di serie A (d'élite), con un divario tra i due livelli potenzialmente sempre più accentuato. E poi l'idea di «competitività» all'interno di una “unione” è disgregante (e a livello planetario è un ottimo motore di guerre di vario genere); andrebbe rimpiazzata con qualcosa di diverso, semanticamente affine a collaborazione, sinergia, …. Purtroppo, però, le parole chiave del (neo)capitalismo vanno in direzione opposta, si ha fiducia nelle capacità autotaumaturgiche e di autoregolazione dei “Mercati” e li si pone persino in una posizione gerarchica superiore a quella della politica, come ribadito da Mattarella. I “Mercati” sono i nuovi veri governi mondiali? Forse ancora no, o almeno non del tutto… ma la direzione presa non mi sembra quella in grado di evitare l'immersione in questa possibile realtà.

  9. Credo che Sommella abbia schiacciato un mondo pieno di sfumature e derivazioni in una sola parola, «neonazionalismo», molto poco utile per descrivere e afferrare la realtà presente. Tra l'altro è una parola carica di connotazioni negative. Un giorno, se mai ci saranno gli Stati Uniti d'Europa che qualcuno auspica, o un'Unione europea degna di essere chiamata unione, avremo un (neo)nazionalismo “SUE”, e allora andrà bene? Già adesso esistono persone che si dichiarano e si comportano come nazionalisti di una nazione che non esiste (ma che loro sognano). Il loro nazionalismo è buono perché si riferisce a un'entità definita, oggettivamente più grande in termini di territorio, di popolazione, d'economia, ecc.? E d'altra parte senza uno spirito nazionale, il carburante del nazionalismo (nell'accezione più neutra che riuscite a dargli), come si fa a costruire una nazione?

  10. Ancora oggi, a dispetto del fatto che la situazione a questo punto dovrebbe essere chiara, alcuni nazionaleuristi sbeffeggiano gli euroclasti che puntano il dito contro la Francia e la Germania (più spesso quest'ultima che la prima). Il passaggio sottolinea che queste “paranoie” nei confronti della Germania (e della Francia) non sono infondate, persino agli occhi di un Sommella che sicuramente non può essere associato alla cricca antieurista/antieuropeista.

  11. Anche no… C'è da farsi una domanda fondamentale: gli esecutivi di Francia e Germania sono euroconvinti per ideologia o per opportunità? Se il loro peso e ruolo all'interno dell'Ue si appiattisse e divenisse uguale a quello di qualunque altro stato, ovvero se dovessero perdere la loro posizione dominante, continuerebbero ad essere euroconvinti a oltranza?

  12. Perché le elezioni europee che ci dovessero essere nel futuro non avrebbero più quel «certo senso» (che non so quale sia)?

  13. Non ci sono invasioni di eserciti; ma i motivi ci sono e alcuni li ha accennati lui stesso.

  14. Ha senso che la BCE (che ha «personalità giuridica propria») sopravviva senza Ue? E senza BCE come può sopravvivere l'euro? Inoltre, in ottica “euroscettica” «l'euro non è una moneta, l'euro è un metodo di governo». Lo diceva Bagnai nel 2012 — credo che sia un suo parto originale. Lo ripete anche Diego Fusaro nel 2017 precisando nel suo solito modo pomposamente filosofico: «L'euro è un metodo di governo orientato a generare un sistema liberista assoluto dove trionfa il mercato spoliticizzato e dove si produce una evidente riplebeizzazione dei popoli europei. […] Vi citerò Jacques Attali, filosofo-economista di riferimento in Francia, il quale disse: che cosa pensavate, che l'euro fosse stato inventato per la plebaglia europea? […] L'euro serve esattamente a produrre dislivelli, asimmetrie di ricchezza a tutto vantaggio dei dominanti, della classe apolide di riferimento, e a svantaggio dei lavoratori e dei ceti medi che vengono sempre più riplebeizzati». Perciò l'“obiettivo degli euroscettici” non può essere quello di lasciare vivo proprio «un metodo di governo» ritenuto cattivo. Potrebbe però essere l'ambizione dei «dominanti» o per lo meno la loro speranza: che crolli pure l'Ue, purché il nostro euro sopravviva.

  15. Quanto ho detto sul nazionalismo in una nota precedente vale anche per il sovranismo: dovrà diventare bello, buono e sano quando si tratterà di riferirlo, tanto nella propaganda quanto sui tavoli tecnici, all'Ue. Così sembra che sia una questione di dimensioni…

  16. Non so a quale manifesto propagandistico faccia riferimento ma non è difficile immaginare le foto di repertorio «con facce sorridenti e gente di tutti i colori». Basta fare una ricerca su google per trovare il repertorio a cui possono attingere. Per esempio questa potrebbe essere scelta dai pubblicisti dell'Ue per rappresentare i giovani dell'Ue. (Ho cercato stock image picture people all races smile.)

  17. Uno dei motivi per i quali la moneta unica non può funzionare.

  18. Il «socialismo reale» porta all'immobilismo, dice e pensa Sommella.

  19. La mitologia ueista vuole che questo presunto «periodo di pace», cioè assenza, sul territori europeo, di conflitti come quelli noti dalla storia, sia frutto dell'Ue e dunque, sempre secondo la logica della mitologia ueista, senza l'Ue ci sarebbero state guerre e sangue per tutta l'Europa.

  20. La «patria comune che non è mai nata» esige le sue quote di patriottismo, sovranismo, nazionalismo, identità; per separare queste quote dall'oggetto reale e presente, nato e vivente, non trovano niente di meglio di una propaganda ideologica volta a demonizzarle. Come sperano di recuperarle a vantaggio della «patria comune» che sognano? Ancora più controproducente sarebbe dire che non sono concetti cattivi in assoluto, ma lo sono solo se riferiti all'oggetto reale e presente, cioè alla patria che già esiste piuttosto che a quella «comune che non è mai nata» — e visto l'approccio non nascerà, né è auspicabile che nasca con queste premesse. Per quanto riguarda il «farsi governare da chi non è stato eletto» che sarebbe una «conseguenza ineluttabile»… lo trovo a dir poco grottesco: Sommella (e simili) sono consapevoli degli inerenti problemi sul fronte della democrazia nella costruzione dell'Ue e l'accettano, magari pensando che è “per un bene superiore”. Un po' come dire che vendere al diavolo la tua anima e quella di altri non è così drammatico, in fondo, se poi in cambio ottieni quello che desideri di più… Del resto a me sembra che all'Ue e ai suoi fan piaccia un ritorno all'aristocrazia ottocentesca e a un suffragio non universale.

  21. Direi, al contrario, per fortuna non è così.

Nessun commento:

Posta un commento

Sii educato, costruisci con cura le frasi, rifletti prima di pubblicare, evita parolacce e offese dirette, non uscire dal tema, cerca di non omettere la punteggiatura, evita errori ortografici, rileggi quel che hai scritto.