"Si stava meglio quando si stava peggio". Se si dimentica quanto ormai sia diventata un luogo comune, si rischia di cogliere una nostalgica verità in questa frase. Dire "meglio" e "peggio" implica l'aver dato un giudizio su un qualcosa, usando un certo metro; per me stasera la grandezza di questa frase è nel lasciar vacillare, attraverso il paradosso, la certezza dell'oggetto del giudizio (o gli oggetti del giudizio) e l'impersonificazione temporale del giudicante.
Sarà l'ora tarda, o qualunque altra cosa, ma mi sembra che questa frase contenga tanto l'esperienza della memoria quanto l'arbitrarietà del soggettivismo che, nell'eccesso — nemmeno poi tanto eccessivo — di considerare tale frase come massima saggia, diventa sociale ovvero del soggettivismo in cui il soggetto non è un singolo individuo ma l'intera società.
D'accordo, è tardi per me, l'avevo già scritto.
Il concetto finale è che probabilmente non ci rendiamo conto di cosa stiamo perdendo, di quello che sacrifichiamo per un "progresso" socioculturale (... economico e ideologico e politico e tecnologico ecc. ecc.) che ci viene venduto come "meglio" ma che in realtà rischia di essere peggio del "peggio" di quando non c'era tale "meglio" (!)
Fortunatamente almeno a volte c'è l'arte a contribuire all'"esperienza della memoria" che nella frase in questione può essere presente solo simbolicamente.
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martedì 31 gennaio 2012
lunedì 24 maggio 2010
Giaul o Giuul?
È uno di quei dubbi con i quali prima o poi bisogna fare i conti. Già da tempo immemore si sa che la risposta è "giuul", ma si continua a sentire "giaul", e poi si è così abituati al caro vecchio e presumibilmente errato suono che si è tentati di generarlo ancora, pur sapendo di cadere in errore.
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