mercoledì 18 giugno 2014

Leaderizzazione

La leaderizzazione, ovvero la personificazione in un leader (di un nemico, di un gruppo, di un partito, ecc.) può essere usata come tecnica propagandistica — per esempio nella propaganda di guerra, ma è evidente anche in quella politica.

In Italia abbiamo un paio di esempi in cui è abbondantemente utilizzata, insieme alla demonizzazione: Berlusconi e Grillo.

Il Partito Democratico (logotipo in cui includo anche le precedenti incarnazioni) cerca di sottrarsi alla possibilità di questo tipo di attacchi (la demonizzazione del leader) presentando l'immagine di un “partito senza leader”. Solo di recente, con la figura di Renzi, emerge mediaticamente una leadership (funzionale1) netta e idolatrabile, con tutto ciò che di positivo e negativo ne segue2.

Però, a differenza degli altri due casi, il Partito Democratico è esposto in misura molto minore (forse addirittura trascurabile) a simili attacchi perché l'identificazione del leader con l'intero partito è fortemente mitigata: grazie alla frammentazione in correnti si parla di renziani, civatiani, bersaniani e via dicendo. In questo modo, un attacco a Renzi è un attacco alla corrente dei renziani, e non al Partito Democratico3.

Inoltre nel caso del Partito Democratico un elemento assente è quello di una azienda che simboleggi interessi privati e personali di un singolo, il proprietario, il boss, il capo, il leader dell'azienda4, di cui il partito è solo uno strumento politico per ottenere vantaggi.

Questo elemento è invece fortemente presente negli altri due casi: si parla di partito-azienda a partire dalla berluscioniana Forza Italia fino a riapplicare il concetto, ormai interiorizzato e metabolizzato dalla cultura politica popolare, al Movimento Cinque Stelle5, adattandolo, come necessario, alle particolarità di quest'ultimo6.

Ciò persegue contemporaneamente due obiettivi.

Da una parte è un aspetto della demonizzazione: il leader in questione ha degli interessi privati — incompatibili con quelli pubblici a cui dovrebbe essere votato per via del suo ruolo politico — e il partito gli serve solo per ottenere vantaggi nella cura di tali interessi. Il leader è cattivo e ha obiettivi malvagi. Le sue motivazioni sono perverse7: il leader non è interessato al bene pubblico e non lavora per la collettività, bensì il suo unico interesse è il bene della sua azienda.

Dall'altra rinforza la leaderizzazione: egli è il capo (leader) dell'azienda e il partito gli appartiene nello stesso senso in cui gli appartiene l'azienda. Perciò egli non può che essere anche il capo del partito e controlla i suoi membri, che gli devono obbedienza per via di un rapporto di subordinazione o comunque sono plagiati e accecati dal culto del capo.

Questo aiuta a rendere il leader inviso, quindi attaccabile ferocemente (se lo merita perché è cattivo e odioso). Parafrasando parte del testo nella sezione “Il nemico è il diavolo travestito!” del post Propaganda di guerra:

La demonizzazione8 è anche spesso accompagnata da una personificazione in un leader9 dei nemici, e ciò perché non si possono seriamente odiare tutti gli elettori di un partito senza essere ridicoli (e pericolosi) quanto i nazisti con gli ebrei; […] così la propaganda va concentrata usando il nome del o dei leader dei “nostri” supposti nemici.


  1. Non analizzo in questo post come e perché ciò sia successo. En passant, mi limito ad affermare senza ulteriori spiegazioni che tale “epifania” è funzionale e necessaria: un leader carismatico dà un senso di sicurezza e risponde al bisogno, eventualmente artificiale, di risposte rapide, risolute e “coraggiose” che solo un leader può assicurare.

  2. A parziale testimonianza di come ciò sia evidente, una Collevecchio, in una sua analisi su Grillo dal titolo Il Culto del capo e la rete, scrive: «Pareva ci fossimo liberati dai grandi regimi totalitari e dai culti dei leader ma prima con Obama, ora con Renzi, Grillo e Berlusconi, siamo tornati a un culto del messia inquietante», «Dal canto suo la sinistra liberal ha partorito finalmente il suo vero primo leader post moderno: il giovane Renzi», «[…] il Capo recita il suo copione, chi urlando come Grillo, chi piacioneggiando come Renzi […]».

  3. La struttura “fluida” occulta il potere centralizzato tramite una finzione di pluralità — una specie di “democrazia nella democrazia”. La finzione è tale perché le varie correnti non mettono mai realmente in discussione il “centro”, o quella che potrebbe essere vista come la corrente dominante: piuttosto, finiscono per uniformarsi o mettere in secondo piano i loro punti di vista per il bene superiore, il partito, la cui coesione è dunque salvaguardata, anche se eventualmente messa alla prova. Le apparenti spinte centrifughe contribuiscono all'immagine di pluralità, libertà e democrazia interna, che rafforzano l'appeal del partito. Internamente, i meccanismi non sono tanto diversi, nella pratica, da quelli di altri partiti; ma l'immagine pubblica è familiare e confortante: l'imitazione di una sorta di governo democratico.

  4. Il “problema” si è risolto introducendo la consapevolezza dell'esistenza delle cosiddette cooperative rosse, cioè degli interessi privati (economici) che ruotano intorno alla “sinistra”. Tuttavia manca l'identificazione con un proprietario specifico che sia impegnato politicamente e pubblicamente esposto. Di nuovo, la frammentazione crea una “plasticità fluida” che consente di evitare le maggiori insidie di questo tipo di propaganda (demonizzazione più leaderizzazione). Perciò la “sinistra” detiene ancora il primato e il monopolio di questi “tratti” propagandistici, specie per quanto riguarda l'identificazione del partito con un'azienda (interessi privati) di un proprietario-padrone.

  5. L'azienda in questo caso è la Casaleggio Associati. La differenza con il caso del partito-azienda berlusconiano è notevole, a cominciare dalle dimensionie dalle “ramificazioni”, che sono incomparabili (anche per questo vengono introdotti altre caratteristiche compensatorie: legami oscuri e segreti, affiliazioni con gruppi di potere occulti ecc.). Nel caso di Berlusconi, nominare un'azienda era una semplificazione sminuente — si parla di una costellazione di aziende, a partire da una holding che oggi è una delle più importanti al mondo.

  6. Per esempio è necessario mettere in primo piano Casaleggio rispetto a Grillo: si parla di duopolio, di Grillo come una specie di frontman impotente, o “complice”, ecc.

  7. Anni di rappresentazioni cinematografiche manichee della lotta tra Bene e Male, Buoni e Cattivi, ha prodotto i suoi effetti e reso suggestiva ed emotivamente coinvolgente l'applicazione dello schema al mondo reale.

  8. Cfr. p.es. gli occhi di demonio, nella traduzione riportata in l'UKIP un po' oltre i nuovi detrattori.

  9. Leaderizzazione, personificazione del partito (o partito-azienda) nel leader.

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