domenica 20 aprile 2014

No, Vauro, no!

No Vauro, no. La satira è politica. In generale il vignettista satirico pubblica le sue vignette sui giornali, o le mostra durante una trasmissione, e i giornali hanno i loro lettori e le trasmissioni i loro spettatori politicamente orientati, e spesso e volentieri hanno anche la loro precisa linea editoriale politica, se non sono addirittura organi di un partito in particolare. Il vignettista satirico fa politica e la satira è uno strumento attraverso cui si orienta l'opinione pubblica. La satira è un diritto di tutti, non solo dei vignettisti satirici nei contesti in cui loro pensano che la satira sia più opportuna e non assuma, secondo loro, significati (sempre secondo loro) diversi.

Vauro: Una cosa la voglio dire.
Santoro: [Pure] tu hai fatto una vignetta, forse per questo…
Vauro: No io ne ho fatte più d'una di vignette che richiamavano alla Shoah e richiamavano l'Olocausto. Certamente sempre in una direzione che voleva comunicare un contenuto. Ma vedi: la differenza fra me e Beppe Grillo è che io sono un vignettista. Io non sono una figura ambigua; non sono in quella terra di nessuno fra il capopopolo o il leader politico e il vignettista. Sono soltanto un vignettista. Quindi quando io uso quel linguaggio lo uso nel contesto che gli è consono, che è quello della satira. Lo stesso linguaggio, medesimo, identico, addirittura le stesse parole, avulso da quel contesto e usato da un palco politico, da un palco politico, poi da una persona che rappresenta il 25% dell'elettorato italiano, non ha lo stesso impatto. Perde il significato e ne acquista un altro. Ed è un significato grave. Il fatto che Beppe Grillo, come tu ci hai ricordato — scusa se ti do del tu cittadina, però son cittadino anch'io…
Santoro: Però, veniamo al dunque.
Vauro: No, no — [il fatto che Beppe Grillo] sia venti anni che usa questo tono non è un'attenuante di nulla, perché una cosa è se quel tono lo usava nei teatri quando faceva il comico, una cosa è se lo stesso tono continua a usarlo come leader politicoE allora…
Santoro: Allora…
Vauro: Scusa, e concludo… lui, che dice che il rappresentante della comunità ebraica è un pessimo comunicatore, dovrebbe dire a sé stesso di essere un pessimo comunicatore e tu [Giulia Sarti] ce ne hai dato dimostrazione perché hai detto: il tema era Equitalia e si è parlato solo…
Santoro: Ora dire che Grillo è un pessimo comunicatore pare un po' eccessivo dai.
Vauro: È un pessimo comunicatore… si è parlato solo della Shoah…
Santoro: Abbiamo capito il tuo punto di vista.
Vauro: L'ha detto, l'ha detto la cittadina. Ha detto la cittadina che si è parlato della Shoah…
Santoro: Ha fatto una pessima comunicazione semmai, ma non è un pessimo comunicatore.
Vauro: Benissimo [ci sta?] una pessima [comunicazione?]… No no, fammi chiudere, perché ci tengo.
Santoro: E no, hai chiuso già, basta…
Vauro: No no no, ci tengo.
Santoro: E no, e sennò non fai più allora solo il vignettista, fai pure un'altra cosa.
Vauro: Una proposta a Grillo: a me, quando hanno dato dell'antisemita, che io credo che sia una cosa vergognosa, sai che ho fatto? Ho denunciato e in due gradi di giudizio ho vinto la causa con Caldarola che scriveva…
Santoro: Vabbè, basta.
Vauro: … [che scriveva] sui giornali che sono un antisemita. Se non è un antisemita denunci chi lo accusa di una cosa così infamante.
Ci sono diverse cose che non mi piacciono nei pensieri espressi da Vauro, nei sottintesi, nelle implicazioni e nella vaghezza di alcune formule.

In particolare quella che ho segnato in rosso: qual è questo significato grave? Assomiglia tremendamente a una tecnica retorica: Vauro lascia indefinito il significato che assorbirebbe “il linguaggio” nel contesto secondo lui non satirico, e si limita solo a dire che è un «significato grave». Il messaggio percepito dall'ascoltatore è la “gravità” del significato, senza che possa valutare da sé tale significato, perché non sa a quale Vauro faccia riferimento in realtà: l'ascoltatore può completare da sé questa informazione e sarà portato a “immaginare” un significato che si adatti all'aggettivo “grave”.

Visto il contesto, sembra che Vauro sceglierebbe, per il “significato” che acquista “il linguaggio” di Grillo (uguale a quello dello stesso Vauro), proprio l'antisemitismo. E giustificherebbe perciò le accuse. Alla fine, fa una “proposta” che ha l'aria di sfida: «se non è antisemita», denunci chi lo accusa. Come a dire: se non lo fa, magari un po' antisemita lo è, magari un po' di verità in quelle accuse c'è.

L'assenza di elementi per procedere a una querela non significa che l'“offesa” non sia tale e abbia cioè un fondo di verità. Anche qualora ci fossero elementi per procedere con una querela, il fatto che una persona non la faccia non significa che l'“offesa” non sia tale e abbia quindi un fondo di verità. Quante denunce ha fatto e ha vinto Vauro contro coloro che l'hanno accusato di antisemitismo (certamente più di uno) e perché in particolare ha voluto e potuto portare in causa Caldarola? Per tutte le volte che è stato accusato di antisemitismo e non ha querelato, concludiamo che Vauro sia in realtà antisemita? Nessuno gli è andato a dire, in una trasmissione magari, tanto per dare maggiore visibilità alla cosa ché altrimenti non avrebbe nemmeno senso parlarne, “Vauro, se non sei un antisemita, denuncia chi ti accusa di una cosa tanto infamante”.

Non mi è piaciuta la presunzione nelle parole «Certamente sempre in una direzione che voleva comunicare un contenuto», come se nel caso di Grillo non ci fosse un contenuto comunicato. Non mi è piaciuta la pretesa che quel certo linguaggio debba appartenere alla satira, ovvero che la satira sia appannaggio suo e della sua categoria, ma non per esempio di un politico professionista o non professionista, eletto o non eletto (e nemmeno di un opinionist leader?). La satira è strumento politico, e Vauro l'ha sempre usata in tal senso.

Se Vauro fosse un leader politico con la passione per le vignette satiriche, invece che “solo” un vignettista che fa satira politica e che di fatto è un opinionista politico, dovrebbe proibirsi di fare vignette satiriche ovvero di usare “quel linguaggio” perché il contesto non è quello della satira? Se le facesse, e invece di pubblicarle sul suo “sito da vignettista” le usasse in un blog dove fa “attività politica” e venisse accusato di antisemitismo, reagirebbe in modo diverso da ora? E il Vauro attuale che diventasse politico o leader politico, dovrebbe rinunciare alle sue vignette e al potente “linguaggio” che però è satira solo in un «contesto satirico»?

Ho giocato un po' con questa storia del linguaggio nel «contesto satirico» e della satira, perché c'è un'altra cosa che non mi convince per niente: l'esistenza di un «contesto della satira» che trasforma un determinato “linguaggio” in un veicolo di un preciso significato che invece, fuori dal «contesto della satira», viene soppiantato da un altro negativo. Quale sarebbe questo «contesto della satira»? È, di nuovo, un parlar vago.

Non mi è piaciuta l'autodescrizione del vignettista che non sarebbe ambiguo, che non sarebbe in una terra di nessuno tra leader politico e vignettista… Vauro ambiguo lo è, secondo il suo stesso pensiero, giacché è in una «terra di nessuno» fra opinionista politico e vignettista. Non potrebbe essere altrimenti, perché fa spesso vignette (satiriche) ad alto contenuto politico.

Non mi è piaciuta la precisazione sulla percentuale dell'elettorato italiano che Grillo rappresenterebbe, intanto proprio perché tale elettorato non ha votato solo Grillo (e ufficialmente non ha votato affatto Grillo) ma il M5S ed è il M5S a rappresentare quell'elettorato, e poi perché sembra voler dire che c'è un problema di quantità di persone che possono essere raggiunte dal messaggio. Come dire: io, Vauro, che ho 4 gatti (e non è così…) a seguirmi, posso permettermi un certo linguaggio non solo perché lo pongo nel giusto «contesto della satira», ma anche perché tanto lo ricevono in 4 gatti. 

No Vauro, no: io non ci casco in questi errori. Se qualcosa fa schifo, fa schifo a prescindere dal numero di persone che possono vedere, sentire, guardare, interpretare quella cosa —le valutazioni sulla “quantità” sono semmai di ordine strategico, ma questa è tutt'altra storia. Se Grillo si merita questi strali, se li merita anche con il M5S all'1%, anche con il M5S a 0%, ovvero anche senza M5S, oppure non se li merita per niente —ed è questa la mia tesi e, spero, la tesi di tutte le persone che vogliono sfuggire a queste isterie da bempensanti ipocriti.

Non mi è piaciuta la risposta in replica al fatto che Grillo usa “questo” linguaggio da 20 anni. Vauro sostiene che non è un'attenuante. Per parlare di attenuante bisogna prima riconoscerlo colpevole di qualcosa, però intanto supponiamo che lo sia. Se non è un'attenuante, è comunque qualcosa che dovrebbe indurre a riflettere Vauro: Grillo, per inerzia dovuta al fatto di aver vestito tanto a lungo i panni del comico, continua a usare i toni da comico. Anzi, egli si sente ancora “solo” un comico che parla di politica, come Vauro è “solo” un vignettista che espone le sue idee politiche. Tutte e due lo fanno legittimamente anche tramite la satira; però ora uno dei due vorrebbe sottrarre questo strumento dalle mani dell'altro, sostenendo che il non essere più “solo” un comico ma anche (e ora prima di tutto) un leader politico, gli toglie il diritto di usare certi toni, poiché fuori dal «contesto satirico».

A parte questa specie di ipotesi interpretativa, ciò che veramente non mi è piaciuto nella frase dell'attenuante è quanto segue: «una cosa è se quel tono lo usava nei teatri quando faceva il comico, una cosa è se lo stesso tono continua a usarlo come leader politico». L'affermazione si capisce, che le circostanze siano diverse è banalmente vero, ma serve una spiegazione sul perché tale identico tono va bene prima e non dopo. Ma questa spiegazione dov'è? Di nuovo, un bel po' di vaghezza e sottintesi: Vauro dà scontato che l'affermazione sia anche la spiegazione dell'affermazione stessa; mi sembra una specie di petizione di principio

Non mi è piaciuto nemmeno l'aver considerato le osservazioni della Sarti come dimostrazione del fatto che Grillo sia un pessimo comunicatore: la Sarti avrebbe detto (lo deduco dalle stesse parole di Vauro, perché la trasmissione non l'ho vista) che si è parlato solo della Shoah, quando il tema era Equitalia. Questo per Vauro non è un “errore di comunicazione”, ma la dimostrazione che Grillo sia un pessimo comunicatore tout court. 

Ho messo “errore di comunicazione” tra virgolette per il seguente motivo: se si è parlato della Shoah quando l'intento di Grillo era di parlare di Equitalia, è ovvio che il messaggio ha mancato il suo bersaglio originale e questo lo si può pure considerare un errore di comunicazione. Ma è una considerazione preliminare e superficiale.

Tuttavia, se si fa un passettino in più, si osserva che si è parlato solo della Shoah perché Renzo Gattegna ha accusato Grillo di voler sollecitare «i più bassi sentimenti antisemiti», ma soprattutto perché i media, invece di dare il giusto piccolo spazio alla vicenda e fermarsi lì, hanno voluto sollecitare i più bassi sentimento antigrilloici, hanno fatto in modo che la notizia fosse quella, hanno deciso che di quello si doveva parlare perché quello aveva un interessante valore come notizia. E così facendo hanno eclissato il messaggio originale.

La colpa, se si può parlare di colpa, non è di Grillo, e in fondo nemmeno di Gattegna, ma proprio dell'informazione (di chi fa informazione), che ha preferito mettere al centro lo “scontro” Grillo-Gattegna (il sangue nell'arena) invece che dei noiosissimi triti e ritriti “populismi” che schiacciano pure qualche callo a qualcuno…

A proposito di Gattegna, e di tutti coloro che hanno seguito il suo pensiero, compreso Vauro, invece di notarne il grossolano e incomprensibile errore di interpretazione, c'è da dire che non si capisce proprio su quali basi possa dire che Grillo abbia voluto sollecitare sentimenti antisemiti. Spero che la maggior parte delle persone che fanno parte della Comunità Ebraica prenda le distanze da questa interpretazione che non può che essere conseguenza di scarsa capacità di comprensione dei simboli (testi, immagini…) o di una suscettibilità distorta fino al limite della patologia.

È per forza di cose esattamente il contrario di quanto sostiene Gattegna: Grillo sollecita sentimenti pro-semiti per muovere il disgusto verso diverse “entità”, realtà e situazioni italiane, e lo fa usando a mo' di simbolo la tristemente nota scritta Arbeit macht frei e un testo costruito usando come calco i noti versi di Primo Levi “Se questo è un uomo” (per Gattegna questo è storpiare; per Grillo, in conformità con la prassi di processi simili, vuol dire solo ispirarsi liberamente a qualcosa). Se il simbolismo sollecitasse sentimenti antisemiti, il post finirebbe per essere un'esaltazione di tutti i “disvalori” e le malefatte che invece Grillo vuole condannare.

Questa però è solo la prima parte della strana accusa di Gattegna. La seconda recita così:
Si tratta infatti di una profanazione criminale del valore della Memoria e del ricordo di milioni di vittime innocenti che offende l’Italia intera
«Infatti» magari fa pensare che ci sia un ragionamento, ma se dire che Grillo con quel post sollecita sentimenti antisemiti è un ragionamento, allora io sono Dio — è blasfemia questa? Può essere; e mentre aspetto le pietre sono sicuro che si è capito benissimo cosa volevo dire e che il mio turpe citare il nome di Dio (ops) invano non diventerà il tema dominante e non sarà letto come una perversa offesa al popolo dei credenti.

Le parole di Gattegna sono eccessive. L'unica cosa che poteva dire è che usare l'orrore della Shoah per denunciare qualche “bruttura” contemporanea è eccessivo ed evitabile — è comunque una questione dibattibile se ciò “debba” essere evitato o meno. Punto. Parlare di «profanazione criminale» e di offesa per l'Italia intera lo lancia al di là del confine entro il quale la sua critica può apparire sensata e legittima. Finisce quindi per sembrare la solita isteria vittimista — e sono atteggiamenti come questo che fomentano l'antipatia “semitica” e che rischiano di alimentare «sentimenti antisemiti». 

Mi preoccupa molto che un Vauro, un Gad Lerner, un Moni Ovadia (secondo La Stampa «Moni Ovadia […] parla di un gesto che ferisce in modo spietato donne e uomini che hanno attraversato l’orrore»), e chissà quanti altri, non facciano queste riflessioni. Mi preoccupa che vedano solleticamento di bassi sentimenti antisemiti laddove è palese il fatto che la denuncia poggia sulle basi del suo contrario, cioè sulla condanna morale dell'orrore nazista, e pertanto non può in alcun modo essere “sfruttamento” dell'«antisemitismo crescente in Europa», secondo quanto scritto per esempio in questo breve post che, per inciso, esibisce una vergognosa retorica, un affronto all'articolo 21, oltre ad essere privo di fondamenti di razionalità logico-politica.

Tutto ciò è molto stupido e il post di Beppe Grillo magari non è niente di che, ma sicuramente non è nemmeno la mostruosità che questi “pensatori” vogliono far credere.

Per tornare a Vauro, voglio chiudere mostrando la vignetta che gli è valsa l'accusa di antisemita e per la quale ha querelato Caldarola, vincendo poi la causa, e voglio fare un piccolo paragone con la vignetta dal blog di Grillo.
Quanto scritto da Caldarola ha della ragionevolezza (vi ricordo che la satira di Vauro parte dal fatto che Fiamma Nirenstein si era candidata con il PdL):
Da oggi quindi si può connotare razzialmente un cittadino italiano di razza ebraica se non si condividono le sue opinione politiche ma non si può criticare questa rappresentazione abnorme con una critica che usa lo stesso paradigma della semplificazione polemica. La sentenza investe due diritti, conculcandoli. Il primo riguarda gli ebrei e dice loro: siate politicamente corretti (rispetto a chi e a che cosa?) altrimenti è giusto che vi raffigurino come una razza. Il secondo dice che la satira va bene ma la satira della satira no.
A me questa vignetta pare un tantino più problematica di quelle delle scritte (Vauro ne aveva fatta una con Arbeit macht FIAT, Grillo scrive P2 macht frei). È più problematica perché non si fa riferimento simbolico per portare un certo tipo di significato (satirico o che): si “attacca” direttamente una persona per il fatto di essere ebrea e di avere certe opinioni politiche, o comunque di aver fatto una certa scelta politica. Per identificare come ebrea la persona, rappresentata mostruosamente alla Frankeinstein, si appiccica al petto una bella stella di David (affiancata per contrasto al fascio littorio) e la si disegna con il naso adunco, considerato caratteristico degli ebrei (immagine decisamente antisemita; se siete sensibili non la guardate).

Questo è il succo della satira di Vauro sulla Nirenstein. E la legge ha stabilito che si ha il diritto di fare questo tipo di satira. A me sta benissimo, purché Vauro sia pronto a riconoscere che su un piano del tutto diverso è il “linguaggio” che prende di mira una persona (rappresentandola in modo “grottesco”), rispetto a quello che si trova nel vauriano Arbeit macht FIAT o nel più recente grillesco P2 macht frei.
In questo caso si vuole creare una associazione tra P2 e nazismo; non tanto nel senso che la P2 è come il nazismo (cosa che non è), quanto nel senso che sono entrambe esecrabili moralmente, da condannare. Bisogna provare per la P2 (il suo piano, la sua “dottrina”…) lo “stesso” schifo che si prova per il nazismo e l'orrendo, sadico, sarcasmo della frase “il lavoro rende liberi”. Ok, qui lo stuolo di ipersuscettibili possono dire che il nazismo fu più grave di qualunque cosa la P2 sia, e che lo schifo per questa non può che essere una frazione di quello che bisogna provare per il nazismo e le loro follie razziste… Andiamo avanti… Se vogliamo ritenerla satira, è ovviamente satira contro la P2 e contro il nazismo, non di certo contro gli ebrei.

Ora Vauro dovrebbe spiegare con maggiori dettagli perché questo è inaccettabile sul blog di un leader politico — blog che ospita diversi contenuti e che può essere assimilato a un organo di stampa politico e politicizzato; quale sarebbe il «contesto della satira» che lo rende accettabile, e come si relazione questo “linguaggio” a quello usato per criticare la Nirenstein? Il contesto di un giornale orientato politicamente come il Manifesto, è un «contesto della satira»?
Ancora peggio è quando si critica il fatto che il testo sia basato (ispirato liberamente, secondo quanto scritto in calce allo stesso post) sull'incipit di “Se questo è un uomo”, come fa il moderatore nei commenti del Manifesto nel replicare a chi ricorda proprio la vignetta Arbeit macht FIAT.
Ma che c'entra? Quella vignetta era controversa ma non cambiava l'incipit di se questo è un uomo. Né Vauro era (è) il capo di nessun partito in parlamento. La migliore satira sulla Shoah l'hanno fatta degli ebrei. Ma un capo partito su un blog politico non fa satira. Fa (soprattutto) politica.
Qui pare che il vero problema sia proprio l'aver preso come canovaccio il testo di Primo Levi. Dove si vuole arrivare? Perché prendere come calco l'incipit di Se questo è un uomo dovrebbe essere condannabile? E poi: la satira non è politica?! Sì che lo è!

A parte le insufficienze di varia natura che vengono a galla, un'altra spiegazione del perché ci sia tutta questa isteria, questa follia, questa animosità pretestuosa, quest'aria “frizzante”… è ovviamente l'avvicinarsi delle elezioni europee. Attaccare Grillo e (indirettamente) il M5S è un contributo (involontario, per carità) all'obiettivo di non farlo arrivare al 30%, o di farlo scendere sotto il 25% — credo che gli ultimi sondaggi, per quel che valgono, indicano valori vicino a questa percentuale.

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