domenica 27 aprile 2014

Stiglitz: un'agenda per salvare l'euro

Traduzione (parziale) di questo articolo (enfasi aggiunte). Non padroneggiando la materia, è altamente probabile che abbia tradotto troppo letteralmente alcuni termini/espressioni tecniche che nella tradizione italiana andrebbero tradotti in altro modo. Invito pertanto alla lettura dell'articolo originale.

[…]

Un recente studio degli economisti della Federal Reserve sono giunti alla conclusione che l'alta disoccupazione protratta nel tempo avrà gravi effetti negativi sulla crescita del PIL per molti anni a venire. Se è vero per (gl)i SUdA, dove la disoccupazione è 40% più bassa che in Europa, le prospettive per la crescita europea appaiono veramente nere.

Quello di cui c'è bisogno, prima di tutto, è una riforma nella struttura dell'eurozona. Per ora, c'è una comprensione ragionevolmente chiara di ciò che è necessario:

  • Una vera unione bancaria, con una supervisione comune, una comune assicurazione dei depositi, e una risoluzione comune. Senza questo, i soldi continueranno a fluire dai paesi più deboli a quelli più forti.
  • Qualche tipo di mutualizzazione del debito, come gli Eurobond: con il rapporto debito/PIL europeo più basso di quello degli USA, l'eurozona potrebbe prendere in prestito a tassi d'interesse negativi, come fanno gli USA. I tassi di interesse più bassi libererebbero la moneta per stimolare l'economia, interrompendo il circolo vizioso dei paesi colpiti dalla crisi dove l'austerità incrementa l'onere del debito, rendendolo meno sostenibile, tramite la compressione del PIL.
  • Politiche industriali per consentire ai paesi ritardatari di rimontare; ciò implica la revisione delle critiche che bollano tali politiche come interventi inaccettabili nel libero mercato.
  • Una banca centrale che si concentri non solo sull'inflazione, ma anche sulla crescita, sull'occupazione e sulla stabilità finanziaria.
  • Sostituire le politiche d'austerità anticrescita con politiche in favore della crescita, focalizzandosi su investimenti in persone, tecnologie, infrastrutture.
Molto del progetto dell'euro riflette le dottrine economiche neoliberiste che prevalsero quando la moneta unica fu concepita. Si pensò che tenere l'inflazione bassa fosse necessario e quasi sufficiente per la crescita e la stabilità; che rendere le banche centrali indipendenti fosse l'unico modo per assicurare fiducia nel sistema monetario; che il basso debito e deficit avrebbero assicurato la convergenza tra i paesi membri; e che un singolo mercato, con persone e soldi in libera circolazione, avrebbero assicurato efficienza e stabilità.

Ciascuna di queste dottrine si è dimostrata sbagliata. Le indipendenti banche centrali di USA e UE, avvicinandosi alla crisi, hanno avuto un rendimento molto più scarso di quello di banche meno indipendenti in alcuni principali mercati emergenti, perché il concentrarsi sull'inflazione ha allontanato l'attenzione dal problema, di gran lunga più importante, della fragilità finanziaria.

Similmente, Spagna e Irlanda avevano surplus fiscali e bassi rapporti debito/PIL prima della crisi. La crisi ha causato deficit e alto debito, non il contrario, e i vincoli fiscali che l'Europa ha accettato né faciliteranno una rapida ripresa dalla crisi né eviteranno la prossima.

Infine, la libera circolazione delle persone, così come la libera circolazione della moneta, sembravano aver senso; i fattori di produzione sarebbero andati dove i loro ritorni sarebbero stati maggiori. Ma la migrazione dai paesi colpiti dalla crisi, in parte per evitare di ripagare i debiti legacy (alcuni dei quali sono stati imposti a quei paesi dalla BCE, che ha insistito affinché le perdite private fossero socializzate), ha affossato le economie più deboli. Si può avere anche una errata allocazione del lavoro.

La svalutazione interna — diminuire i salari e i prezzi — non è un rimpiazzo per la flessibilità dei tassi di cambio. […]

Nessun paese ha mai ripristinato la prosperità attraverso l'austerità. Storicamente, alcuni fortunati paesi furono tanto fortunati da riempire il divario della domanda aggregata con le esportazioni dal momento che la spesa pubblica si contrasse, consentendo loro di evitare gli effetti depressivi dell'austerità. Ma le esportazioni europee non sono aumentate un gran che dal 2008 (nonostante il declino dei salari in alcuni paesi, tra i quali Grecia e Italia). Con la crescita globale così tiepida, le esportazioni non riporteranno Europa e USA alla prosperità tanto presto.

La Germania e qualche altro paese del nord Europa, dimostrando un'incredibile mancanza di solidarietà europea, hanno dichiarato che non gli dovrebbe essere chiesto di pagare il conto per i loro vicini dissoluti. Ciò è sbagliato per diversi motivi. Per cominciare, tassi di interesse più bassi che verrebbero dall'adozione degli Eurobond o da altri meccanismi simili renderebbero l'onere del debito gestibile. […]

Se l'eurozona adotta il programma su accennato, non ci sarà bisogno che la Germania paghi alcun conto. Ma, stanti le perverse politiche che l'Europa ha adottato, una ristrutturazione del debito è seguita da un'altra. Se la Germania e gli altri paesi del nord insistono a perseguire le attuali politiche, loro, insieme ai vicini più a sud, finiranno per pagare un alto prezzo.

L'euro sarebbe dovuto servire per dare crescita, prosperità, e un senso d'unità europea. Invece ha portato stagnazione, instabilità e divisioni.

Non deve andare a finire per forza in questo modo. L'euro può essere salvato, ma ci vogliono più che belle parole che asseriscono un impegno pro Europa. Se la Germania e altri paesi non vogliono fare ciò che serve — se non c'è abbastanza solidarietà per far sì che la politica funzioni — allora l'euro deve essere abbandonato per poter salvare il progetto europeo.

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