E-mail/articolo scritto il 26 aprile 2006.
Aggiungo ai pensieri che seguiranno che l'introduzione di “quote rosa” ha la probabilità non nulla di aumentare quello che, ritengo in modo non del tutto corretto, è chiamato maschilismo.
Un'altra scemenza che si sta diffodendo, specie grazie
alla sua forza come strumento di propaganda, è la
storia della così dette quote rosa.
La cosa funziona così: si contano le donne che sono in un parlamento,
in un partito, alla camera e così via e si nota che sono poche.
Si deduce che è un segno di discriminazione (in politica) nei confronti
del sesso femminile, cioè si tratta di sessismo.
Dunque è necessario introdurre delle quote, per
assicurare un certo numero di posti alle donne, in modo che non siano
vittime di discriminazioni.
In pratica, per evitare discriminazioni, si introduce un
principio discriminante.
L'idea di fondo è errata e la "dimostrazione" della presenza
di questa discriminazione è insensata (almeno come ci
è stata presentata). Come detto si fa qualcosa del genere:
in X ci sono solo l'1% di donne; poiché 1% è minore di 99%
(uomini), e senza dubbio se non ci fosse discriminazione
la percentuale sarebbe molto più alta (diciamo, 30% o 40% se non
50%),
allora bisogna intervenire. (Considerando che le donne sono
di più, anzi, la percentuale dovrebbe essere maggiore del 50%!)
L'analisi giusta da fare sarebbe stata invece la seguente:
si calcola la percentuale di uomini che sono entrati in X
rispetto al numero di quelli che ci hanno provato. Lo stesso
si fa per le donne. Si paragonano le due percentuali. Se
la discrepanza è maggiore di una certa soglia allora c'è
discriminazione. (La soglia andrebbe stimata attraverso una
analisi statistica su lungo termine, ricavando
la media e lo scarto quadratico medio)
Se si scopre che c'è discriminazione e che questa si riflette
in effetti sulla possibilità del discriminato di raggiungere
le stesse posizioni del discriminatore, allora che si fa?
Come al solito, piuttosto di lavorare per cambiare la vera
causa (la mentalità delle persone, per esempio), si preferisce
(perché più facile?) creare un'altra discriminazione; che
in teoria dovrebbe controbilanciare l'altra, ammesso sempre
che esista e che il suo effetto sia quello di cui si è
parlato.
In pratica, si rende più facile l'accesso per le donne
alla carriera politica (nei partiti, alla camera etc... in tutto ciò
che ho sintetizzato con X); il risultato sarà non solo di soddisfare
la domanda disillusa (in modo sbilanciato),
ma anche di aumentarla: se c'è una "quota rosa"
da rispettare, le probabilità di successo aumentano in modo
anomalo e questo è n pratica un invito a tentare la carriera.
Così, si confermerà che c'era bisogno di queste
"quote rosa" per ristabilire un equilibrio. Si potrà
dire: visto che c'è un aumento
non solo di donne effettive (e grazie, sennò che vengono
introdotte a fare?) ma anche di richieste?
Segno che avevamo ragione: c'era discriminazione e questa
impediva l'accesso alle donne in X.
C'è un'altra assunzione errata, ovviamente: che
nell'insieme di persone che ambiscono ad un lavoro sia necessariamente
equidistribuita una certa qualità (colore degli occhi, sesso etc.)
e che la stessa distribuzione si presenti in "quelli che ce la fanno".
Lascio immaginare a voi il resto.
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