lunedì 8 luglio 2013

Quote rosa

E-mail/articolo scritto il 26 aprile 2006.
Aggiungo ai pensieri che seguiranno che l'introduzione di “quote rosa” ha la probabilità non nulla di aumentare quello che, ritengo in modo non del tutto corretto, è chiamato maschilismo.

Un'altra scemenza che si sta diffodendo, specie grazie alla sua forza come strumento di propaganda, è la storia della così dette quote rosa.
La cosa funziona così: si contano le donne che sono in un parlamento, in un partito, alla camera e così via e si nota che sono poche. Si deduce che è un segno di discriminazione (in politica) nei confronti del sesso femminile, cioè si tratta di sessismo.
Dunque è necessario introdurre delle quote, per assicurare un certo numero di posti alle donne, in modo che non siano vittime di discriminazioni.
In pratica, per evitare discriminazioni, si introduce un principio discriminante.
L'idea di fondo è errata e la "dimostrazione" della presenza di questa discriminazione è insensata (almeno come ci è stata presentata). Come detto si fa qualcosa del genere: in X ci sono solo l'1% di donne; poiché 1% è minore di 99% (uomini), e senza dubbio se non ci fosse discriminazione la percentuale sarebbe molto più alta (diciamo, 30% o 40% se non 50%), allora bisogna intervenire. (Considerando che le donne sono di più, anzi, la percentuale dovrebbe essere maggiore del 50%!)
L'analisi giusta da fare sarebbe stata invece la seguente: si calcola la percentuale di uomini che sono entrati in X rispetto al numero di quelli che ci hanno provato. Lo stesso si fa per le donne. Si paragonano le due percentuali. Se la discrepanza è maggiore di una certa soglia allora c'è discriminazione. (La soglia andrebbe stimata attraverso una analisi statistica su lungo termine, ricavando la media e lo scarto quadratico medio)
Se si scopre che c'è discriminazione e che questa si riflette in effetti sulla possibilità del discriminato di raggiungere le stesse posizioni del discriminatore, allora che si fa?
Come al solito, piuttosto di lavorare per cambiare la vera causa (la mentalità delle persone, per esempio), si preferisce (perché più facile?) creare un'altra discriminazione; che in teoria dovrebbe controbilanciare l'altra, ammesso sempre che esista e che il suo effetto sia quello di cui si è parlato.
In pratica, si rende più facile l'accesso per le donne alla carriera politica (nei partiti, alla camera etc... in tutto ciò che ho sintetizzato con X); il risultato sarà non solo di soddisfare la domanda disillusa (in modo sbilanciato), ma anche di aumentarla: se c'è una "quota rosa" da rispettare, le probabilità di successo aumentano in modo anomalo e questo è n pratica un invito a tentare la carriera.
Così, si confermerà che c'era bisogno di queste "quote rosa" per ristabilire un equilibrio. Si potrà dire: visto che c'è un aumento non solo di donne effettive (e grazie, sennò che vengono introdotte a fare?) ma anche di richieste? Segno che avevamo ragione: c'era discriminazione e questa impediva l'accesso alle donne in X.
C'è un'altra assunzione errata, ovviamente: che nell'insieme di persone che ambiscono ad un lavoro sia necessariamente equidistribuita una certa qualità (colore degli occhi, sesso etc.) e che la stessa distribuzione si presenti in "quelli che ce la fanno".
Lascio immaginare a voi il resto.

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