martedì 6 maggio 2014

Stiglitz e Sen: le nostre analisi usate impropriamente…

Siamo estremamente dispiaciuti di venire a conoscenza del fatto che, in certe prese di posizione politiche in Francia e in Europa, le nostre analisi sul funzionamento dell'euro sono state usate impropriamente. Noi siamo piuttosto favorevoli a un'Europa più unita, il cui scopo finale è l'integrazione politica. L'unione monetaria dovrà andare di pari passo con un'unione fiscale e bancaria; ciascuna di queste —noi speriamo— arriveranno a tempo debito. Pur credendo che lanciare un'unione monetaria senza integrazione bancaria e fiscale e senza prospettive di un'unione politica ha costituito un errore economico, rimaniamo fermamente filo-europeisti piuttosto che anti-europeisti e vogliamo più di una semplice unione monetaria.

Amartya Sen (università di Harvard, USA) e Joseph Stiglitz (università della Columbia, USA), 10 aprile 2014 (Fonte)

Avevo già riportato la traduzione di un articolo di Stiglitz su cui ero inciampato (Un'agenda per salvare l'euro).

Non pensiate che io sia preconcettualmente filo-eur(ope)ista, ma non pensiate nemmeno che io sia, al contrario, preconcettualmente anti-eur(ope)ista. Che poi bisogna vedere che significa essere o l'una o l'altra cosa: ha davvero senso porsi in questi termini “bipolari”?1

Che ci sia qualcosa (di grosso) che non va in questa Unione Europa, per com'è ora, è dato ormai per assodato. Però, non tutti concordano esattamente su cosa, e comunque non è affatto ovvio quale sia il modo migliore per risolvere i problemi che ha — una volta dato per scontato d'averli bene e correttamente identificati.

Dal punto di vista economico, “affidarsi” a pezzi grossi come Amartya Sen e Joseph Stiglitz forse non dà certezze, ma se non altro non si può dire che le loro opinioni e i loro suggerimenti siano campati in aria. Quindi un'idea di cosa si può fare c'è, come scritto da Stiglitz stesso (vedi il post precedente).

Quante volte i simpatizzanti del fronte anti-eur(ope)ista, facendo appello all'autorità dei due economisti (in particolare quella di Stiglitz), hanno ingannato, involontariamente di certo, chi era alla ricerca di risposte e conferme per il suo disagio, o la sua rabbia, anti-eur(ope)ista?

Dal più estremo e cocciuto anti-eur(ope)ismo fino al più entusiastico, positivista e cieco filo-eur(ope)ismo ci può essere tutto un arcobaleno di possibilità, ma è difficile capire ogni volta le posizioni di ciascuno, forse perché gli aspetti da considerare sono tanti e di conseguenza tanto grande è la necessità di semplificare. Però a me sembra che, se si escludono i due memi “più Europa” e “ce lo chiede l'Europa”, che sono entrati, paradossalmente, più nel vocabolario della propaganda anti-europeista che in quella filo-europeista, nessuno realmente occupa l'estremità destra di tale spettro, o comunque sono ben pochi, mentre l'estremità sinistra è affollata d'ogni sorta di carattere.2

Se Stiglitz e Sen si son dovuti scomodare a specificare la loro posizione, è solo perché delle loro analisi si sono appropriati persone e personaggi o entità che ne hanno travisato, strumentalmente, il senso ultimo.

È come se un gruppo di esperti di lieviti scrivesse che i fornai usano male i lieviti, facendo pane scadente e potenzialmente dannoso, e che per fare un pane migliore bisogna trattare i lieviti in un certo modo, selezionarli e via dicendo… E il giorno dopo si ritrova ad essere presentato come gruppo autorevole sostenitore della tesi che bisogna chiudere i forni, smettere la produzione di pane e scacciare i fornai.

Per qualcuno osare pensare che possa esistere una strada diversa dallo smantellamento (orchestrato e gestito) totale è una insopportabile eresia.

Se entriamo nel dettaglio, per qualcuno (ma solo per qualcuno) il problema è, detta in breve, che l'Unione Europea è costruita sulle fondamenta di dottrine neoliberiste, che sono tra gli esempi più scellerati di ideologie economiche (o forse anche socioeconomiche). Questo sarà pur vero, ma perché si ritiene impossibile e immorale provare a cambiare, puntello dopo puntello, queste fondamenta, e ridisegnare l'edificio che ci sta sopra?

A chi sostiene che sia impossibile e che l'unica strada è la distruzione (che consideri o meno interessante costruire una diversa unione europea), ricordo che, se UE ed euro sono espressioni di dottrine socioeconomiche politiche ignobili, il loro abbattimento non equivale all'abbattimento di tali dottrine, che tristemente impregnano la nostra società consumista e capitalista da sempre — ok, non da sempre, ma da abbastanza per poterle considerare la regola.

Stando così le cose, l'abbattimento dell'UE, l'uscita dall'euro, la ricontrattazione dei trattati… sono tutte panacee: rimaniamo quel che siamo o che ci hanno fatto diventare, e magari ciò si esprimerà in futuro in forme più subdole e meno evidenti — di sicuro non serve un'Unione Europea o l'euro affinché quelle dottrine trionfino. Il problema siamo noi, è il nostro stile di vita.

Invece penso che sia più giusto sforzarsi di ragionare sull'atteggiamento nei confronti di euro e Unione Europea in un'ottica di Realpolitik: le battaglie contro il neoliberismo, contro il dominio del capitalismo antidemocratico, contro la bulimia consumistica, contro il prevalere della finanza speculativa, e via dicendo, sono battaglie che si combattono realmente su un piano del tutto diverso — molto più complicato, molto più spinoso, perché c'è la nostra stessa cultura alla base del loro successo.

C'è almeno un altro motivo per non rifiutare in modo prevenuto3 l'approccio realpolitisch. È indubbio che ormai ogni nazione è in qualche modo legata all'altra nelle sorti economiche (e non solo). Chiamiamola globalizzazione, anche se il termine è abbastanza carico di ambiguità per volerlo evitare. Per poter “vincere” (cioè sopravvivere) con un modello che è avversato da tutti gli altri giocatori, non basta forse nemmeno l'approccio Amish. Allora, secondo me, o tutti convergono, di concerto, verso una determinata soluzione, o quella minoranza che avrà optato per essa ritornerà prima o poi all'ovile, perché sarà costretta a farlo — l'approccio Amish, dicevo, può servire a resistere all'assedio, ma è un approccio che, su grande scala, è prono alla sconfitta, senza considerare il fatto che è difficilmente applicabile alla nostra cultura corrente4.

Per via di queste considerazioni, ritengo che sia da rimproverare quell'estremismo anti-eur(ope)ista che rifiuta le posizioni più moderate, dialoganti, di quelli che ritengono che le terribili brutture di questa Unione Europea possano essere aggiustate, non senza difficoltà, conservando l'idea che un'unione europea è desiderabile (come, del resto, un tempo si sono ritenuti desiderabili quei processi che, di volta in volta, hanno portato alle varie unità nazionali e alla formazione degli stati-nazione5). In questo rifiuto c'è anche l'arroganza di chi, per principio, vuole negare alle altre “posizioni” la sovrapposizione degli intenti fondamentali, persino quando è dichiarata, e preferisce invece sostenere che gli altri sono funzionali al sistema, alla conservazione del suo status quo.

Insomma, per alcuni non c'è altra strada che l'abbandono dell'euro e la distruzione dell'UE6, e oltre che “combattere“ sul fronte di chi vuole questa UE esattamente così com'è, “combattono” anche sul fronte di chi pensa di poterla cambiare — in meglio, ovviamente.

Le domande sono molte, ancora di più; è importante ricordare che le risposte sono, invece, poche e incerte e troppo spesso viziate da arroccamenti ideologici e da convincimenti personali che non possono avere alcuna pretesa di universalità… e che qualche volta provano a portare acqua al loro mulino travisando le analisi di rinomati economisti…


  1. I termini stessi possono essere molto fuorvianti e andrebbero meglio definiti. Per esempio, bisognerebbe definire per bene la differenza tra eurismo, unione-europeismo (o unionismo, secondo qualcuno) ed europeismo. Qui, io, quando scrivo “europeismo” (europeista ecc.) intendo far riferimento all'Unione Europea — ma in ciò conservo l'ambiguità del caso: parlo di questa Unione Europea così com'è, di trattati specifici? O parlo di quella che potrebbe essere? O forse di un concetto più generico di “unione” tra stati europei? Ed esattamente in cosa deve consistere questa “unione”?

  2. L'estremità destra dello spettro coincide con l'entusiastico, cieco e positivista filo-eur(ope)ismo per il semplice fatto che si procede a leggere da sinistra verso destra, e io ho elencato per primo l'anti-eur(ope)ismo. Probabilmente ho elencato prima quest'ultimo perché, immaginando l'“eur(ope)ismo” come una quantità misurabile, ho messo prima i valori più bassi e poi quelli più alti. Non c'è, comunque, nessun riferimento alla così detta Destra (politica), anche perché, ad essere precisi, l'Unione Europea è stata partorita più che altro sotto governi della così detta Sinistra (politica).

  3. Come immagino farebbe certa gente che “conosco”.

  4. Molta stima e molto rispetto per gli Amish, ma è lampante che il loro modello culturale è in contrasto con il nostro — che ormai è dato per “buono” e valido. Quanto saremmo in grado di “convertirci”, tramite un atto di volontà (cioè non costretti ad abbracciare momentaneamente quei modelli in seguito ad eventi catastrofici e traumatici su larga scala, come p.es. guerre, carestie ecc.), al fine di erigere delle barriere contro le lusinghe implicite negli altri modelli? Volevo fare anche questa domanda su cui riflettere: le censure che avvengono in certi paesi e di cui ogni tanto i nostri media ci informano (per farci schierare contro di loro, o per denunciare qualcosa per noi inaccettabile), in che misura sono un tentativo di resistere alla penetrazione di idee portatrici di modelli diversi e ritenuti pericolosi e in che misura sono solo uno strumento repressivo del dissenso verso un “tiranno” o un regime “totalitario” che non riesce a garantire pace e prosperità per tutti?

  5. I quali processi, per forza di cose, hanno finito per sottrarre dei poteri ad altri centri; cioè, per dirla con un termine un po' diverso, questi processi hanno sottratto vari pezzi di sovranità alle “strutture” che hanno predato e assorbito o sostituito.

  6. Se non ci fosse una crisi economica, quanti abbraccerebbero la causa anti-euro? E quanti quella anti-UE? Se non ci fosse una crisi economica, ben pochi si preoccuparebbero di avere l'euro, e ancora meno persone si interrogherebbero sui problemi (politici, ideologici, della democrazia) di questa Unione Europea.

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